Una nuova ricerca brasiliana approfondisce le carenze emotive e le fragilità dietro il fenomeno del trolling, l’atteggiamento provocatorio sui social network, che alimenta rabbia, frustrazione e antagonismo. Alla base del gusto per il litigio e il disturbo potrebbe esserci una bassa autostima e alti livelli di FoMO, la paura di restare esclusi dalle relazioni e dalle occasioni e gioie della vita. Come può rispondere l’Arteterapia alla FoMO?
Un recente studio pubblicato su Psychological Reports indaga sui correlati psichici del comportamento dei troll che, usando toni offensivi e aggressivi, accendono la polemica online, seminando irritazione e scontento in forum e commenti. La ricerca ha coinvolto 300 utenti dei social network, incrociando diversi test standardizzati, con la finalità di comprendere più approfonditamente i comportamenti aggressivi su internet. Il web magazine PsyPost riporta le dichiarazioni dell’autrice dello studio Isabella L. Silva Santos, dottoranda presso la Federal University of Paraíba: “La nostra vita quotidiana è permeata dai social media e il loro utilizzo continua ad aumentare. Nonostante ciò, le comuni regole di condotta interpersonale non sembrano applicarsi in questo ambiente: diciamo e facciamo cose che non faremmo mai nella nostra vita reale, specialmente quando si tratta di aggressione. Gran parte di tutto questo è dovuto all’anonimato e alla mancanza di regolamentazione sul web, ma è anche necessario comprendere gli aspetti psicologici e sociali del comportamento aggressivo online”.
I risultati dello studio evidenziano che il trolling sembra essere correlato a bassi livelli di autostima, che potrebbero innescare il comportamento disturbante, quale strategia disfunzionale per rendere più sopportabili le emozioni negative, esternalizzando la propria frustrazione e aggressività. Buoni livelli di autostima, viceversa, sarebbero correlati a un uso più positivo dei social network. “L’idea che l’immagine di noi stessi possa motivarci ad attaccare perfetti sconosciuti è una questione che merita di essere ulteriormente esplorata da studi futuri”, ha commentato Santos, come anche gli effetti dell’esposizione continua alla violenza online.
Il trolling sarebbe correlato anche ad alti livelli di FoMO, Fear of Missing Out, ossia la paura di essere esclusi dalle esperienze gratificanti di amici e conoscenti, unita all’ansioso desiderio di restare sempre virtualmente connessi con le vite altrui. La FoMO è un’espressione tipica della dipendenza dai social network, che possiamo descrivere come una fame compulsiva di partecipazione, che fa vacillare l’equilibrio e il benessere emotivo della persona, sradicandola dal momento presente e catturandola negli specchi, spesso illusori, delle vite degli altri. Se l’innato bisogno di inclusione dell’essere umano, che è cardine della nostra sopravvivenza come animali sociali,si manifesta naturalmente anche nel mondo virtuale, questa esigenza relazionale può trasformarsi in un vero e proprio craving, una ricerca impulsiva e ossessiva di connessione e condivisione. Nella FoMO, la forte ansia da esclusione e il desiderio bulimico di like, commenti e visualizzazioni sono accompagnati dal costante timore di non vivere una vita realmente piena, se paragonata a quella degli altri. Secondo i ricercatori, in presenza di alti livelli di FoMO, l’atteggiamento di trolling aiuterebbe a sfuggire le emozioni negative e il senso di inferiorità, diventando addirittura un estremo tentativo di richiamare l’attenzione e di sentirsi coinvolti, seppur in modo distruttivo, nelle relazioni sociali.
Questa ricerca getta nuova luce sulle trappole emotive del web, sugli effetti di un voyeurismo che rischia di escludere e di allontanare, tra i riflessi reciproci e distorti di vite apparentemente perfette. Al contempo, lo studio offre interessanti orizzonti possibili di analisi e azione, in ambito educativo e pedagogico. Tra questi, si evince la necessità di incentivare un uso sempre più consapevole dello strumento digitale e la conoscenza delle dinamiche emotive e relazionali, affinché la rete, che intrappola e stringe, possa essere anche foriera di autocoscienza e di un positivo lavoro su di sé. In secondo luogo, possiamo trarre la necessità di diffondere attività esperienziali e formative, accanto a quelle informative, in grado di potenziare gli elementi funzionali del comportamento, valorizzando sia l’unicità della persona sia la condivisione sociale, all’interno di positive relazioni interpersonali. In quest’ottica di valorizzazione e riabilitazione, si inserisce la pratica artiterapica che, per natura, valorizza le potenzialità sia della persona sia del gruppo. L’arte, con la sua possibilità di far emergere il senso della vita, si rivela prezioso antidoto sia alla paura di vivere una vita inspida sia al timore di restare esclusi dai più gratificanti legami sociali. Nella pratica artiterapica, la persona si sperimenta come artista e anche come parte di un atelier. Il suo gesto e l’espressione creativa si manifestano come portatori di piacere e soddisfazione, forieri di autostima e autocoscienza, in grado di disattivare il pilota automatico del facile clic, per far emergere le proprie migliori risorse, a volte sepolte sotto strati di polvere di quotidianità. L’arteterapia è, in definitiva, veicolo di buone relazioni, con se stessi e con gli altri, cura della condivisione e del profondo, nutrimento emotivo e creativo, che sfama la fame (e la FoMO) di senso e di felicità. Perché l’arte crea nuovi mondi e rinnova il mondo di tutti i giorni, perché ogni giorno è una tela nuova, tutta da creare, insieme.