È dalla città di Trieste che l’arteterapia italiana lancia un suo potente segnale, artistico, medico e sociale, attraverso l’esperienza di Franco Basaglia, psichiatra veneziano che ha rivoluzionato completamente la percezione della malattia mentale in Italia e in tutto il mondo.
L’esperienza basagliana, prima all’ospedale psichiatrico di Gorizia e soprattutto in quello di Trieste, ha permesso una potente deistituzionalizzazione e la nascita di una psichiatria alternativa, che ha aperto anche le porte all’arte. Franco Basaglia scrive diversi articoli sul rapporto fra l’esperienza artistica e la psichiatria, fra i quali “L’incontro con l’espressione figurativa malata”, del 1963, o “Kitsch ed espressione figurativa psicopatologica”, dell’anno seguente, fino a giungere all’articolo del 1975 “Condizioni e ruolo delle arti contemporanee nella crisi di trasformazione del mondo”.
Già nell’”Istituzione negata”, del 1968, Basaglia riporta come il canto e la musica siano diventati potenti mezzi di riabilitazione all’interno del manicomio di Gorizia, in un approccio musicoterapeutico alla malattia mentale. Ma è nell’ospedale di Trieste che l’arte diviene protagonista della nascente psichiatria alternativa, con l’apertura del laboratorio artistico Arcobaleno, sotto la guida dello scrittore e regista Giuliano Scabia e dello scultore e pittore Vittorio Basaglia, cugino dello psichiatra. Il laboratorio Arcobaleno diviene territorio franco per la libera espressione del paziente ma anche, e soprattutto, per l’apertura al dialogo, al confronto e alla partecipazione condivisa.
L’esperienza basagliana fa della pratica artistica una tecnica riabilitativa e socializzante, spunto per una condivisione medica, filosofica e intellettuale, che porterà il 13 maggio 1978 alla promulgazione della legge 180, che sancisce la chiusura dei manicomi e l’avvio di una psichiatria di tipo territoriale.
Nella culla medico-artistica del laboratorio Arcobaleno e dell’ospedale di Trieste, nasce “Marco Cavallo”, un enorme cavallo di legno e cartapesta blu, opera collettiva ispirata ad un vero cavallo che, dopo una vita trascorsa a trasportare la biancheria dei malati, fu salvato dal macello. Marco Cavallo diverrà simbolo della rinnovata dignità del paziente, varcando le porte del manicomio e uscendo libero per le strade di Trieste, seguito da una folla di ricoverati festosi.