Che cos’hanno in comune il sole, l’oro, il limone e un chicco di mais? Il colore della luce.
Il giallo, attraverso i pigmenti naturali minerali, derivanti da terre argillose ricche di ossido di ferro, ha sempre avuto un posto di rilievo nella storia dell’arte e dell’uomo. L’ocra gialla e rossa si annovera fra i primi colori utilizzati nella pittura preistorica rupestre: la celebre Grotta di Lascaux, nei pressi di Montignac, in Francia, ospita un fulvo cavallo di ben 17.300 anni.
Ma come non pensare ai celebri gialli della storia dell’arte? All’oro delle icone russe e di Klimt? O ai giallo cromo di Van Gogh, difesi recentemente persino dal Cnr, perché deteriorabili dai led museali?
Il giallo è paragonabile al suono squillante di una tromba, suggerisce Kandinskij, nel saggio Lo spirituale nell’Arte. Perché il giallo è davvero squillante, persino nella sua radice etimologica, che deriva dalla base indoeuropea –ghel, col doppio significato di scintillante e urlante. Lo stesso termine inglese per giallo, “yellow“, è etimologicamente vicino al verbo “to yell”, gridare. Il giallo è definibile come “il colore che grida per ottenere attenzione” (Webster’s New World Dictionary of American English, Third College Edition, 1988).
Osservando la natura, il colore giallo, soprattutto in unione al nero, è spesso utilizzato dagli animali per comunicare la propria pericolosità. L’abbinamento cromatico giallo – nero è difatti vestito dalle api, come dalle vespe e da animali marini tossici. L’eredità naturale del giallo quale messaggio cromatico di pericolo e suggerita cautela è riscontrabile anche nella società umana contemporanea come, ad esempio, nelle bandiere gialle delle corse automobilistiche, nelle condutture di gas, nella luce gialla del semaforo o, semplicemente, nel giallo come genere letterario. Il giallo è soprattutto il colore più visibile dall’occhio umano, in grado di attirare maggiormente l’attenzione e prestarsi al meglio per messaggi di pericolo.
Da un punto di vista religioso, il giallo è associato alle divinità solari egiziane, azteche e induiste, ma anche alla saggezza e all’illuminazione, ovvero il passaggio dal buio alla luce, che ispirano le vesti color zafferano dei monaci buddisti (Arvon, Henri, Le bouddhisme, Presses Universitaires de France, 1951). Nel Cattolicesimo il giallo richiama la santità, il paradiso ed, in associazione con il bianco, la resurrezione.
Da un punto di vista artistico-terapeutico, il giallo indica autonomamente la sua via naturale. Ed è una via di luce. Non luce bianca, paradisiaca, inafferrabile, ma luce materiale, tangibile e terrena, incarnata e viva. Una luce gialla che supera la luce bianca, in termini di speranza. Che supera l’attesa della resurrezione dello spirito, per abbracciare quella della reincarnazione o della resurrezione del corpo. È la vittoria della Vita Nel Corpo. Il giallo, da un punto di vista artistico-terapeutico, è in dialogo con una sana autoaffermazione, un gioioso esporsi al mondo, esserci e mostrarsi vivacemente. La Gioia del Giallo, con la sua visibilità vitale, ispira un lavoro artistico di lietezza solare e presenza. Il giallo, colore dell’oro, è moneta cromatica di prosperità, di ricchezza propria interiore, spendibile in termini di rinnovata autostima.